Bibì e lu Maharu
La calura di questo periodo bisogna prenderla nella giusta maniera, come fosse un nemico che può essere solamente assecondato, rispettato anche ma sopratutto schivato. Non preso di petto, adoperando le soluzioni più estreme quanto inutili e dannose. conviene raggirarlo e sfruttare le più piccole zone d'ombra dove esso arriva appena o dove, meglio: non arriva affatto.
In questo periodo della stagione, io sospendo semplicemente le attività dalle 11 alle 15.30 circa. Durante queste ore, se proprio devo fare qualcosa, lo faccio zompando da un cono d'ombra al successivo o mi lascio investire seppur della più impercettibile ventilazione. Aziono movimenti lentissimi degni di un bradipo e lascio soltanto un piccolo spiraglio aperto nello scambio tra il mio corpo e l'atmosfera. Mi accontento di poco ma funziona.
Alle 13.30 mi "ingrotto" fino alle 15.30-16, dedicandomi, se c'è la compagnia giusta, ai piaceri della gola, altrimenti soltanto ai bisogni della pancia.
Questo è un equilibrio che non può essere contestato, nè violato da alcuno. E' una dimensione sacra che si compie!
Questa introduzione era d'obbligo perchè si possa comprendere lo sforzo a cui sono stato sottoposto per riuscire a trattenere l'istinto omicida scatenatosi durante quella fascia oraria di mercoledì 19 agosto, giorno in cui Bibì compiva due mesi di vita.
Erano le 14, quindi nel pieno della dimensione sacra, solamente una cosa a quest'ora mi può costringere ad uscire dalla grotta: il fuoco, anche quando è lontano e può non riguardarmi. In genere in questo momento della giornata non accade nulla, non si muove nulla e non c'è anima umana viva ed attiva nel raggio di svariati km. Eppure quel 19 agosto si è scatenato, alle 14 in punto, un inferno di abbai come di artiglieria pesante che ovviamente mi ha costretto ad abbandonare la grotta e la sacralità dell'istante. Erano i miei cinque cani che circondavano una Punto bianca il cui colore si confondeva con i 20 canini aguzzi e ben in vista dei miei collaboratori. La Punto circondata ed assediata si era fermata all'ingresso del ranch, strombazzando all'impazzata. la mia considerazione sugli esemplari umani che vengono a rompere le balle in un momento così poco adatto, è comunque già infima. Figurarsi quando questi addirittura strombazzano impunemente col clacson a tromba!. La mia considerazione sull'umanità aveva così raggiunto i livelli minimi storici. Per questo ho preso un bastone e mi sono avviato verso la Punto bianca.
Nell'abitacolo si vedevano due figuri che non potevano che essere loschi; avevano chiuso i finestrini ed io li vedevo a malapena perchè stavano evaporando; si agitavano e mi dicevano pure qualcosa, che non capivo perchè anche le parole evaporavano insieme ai loro sudori. Ho allontanato i cani, forse era quello il motivo della loro agitazione! - ho pensato. I finestrini a manovella furono abbassati in men che non si dica come se tutto quel sudore avesse lubrificato a dismisura le cordicelle del loro ingranaggio.
Minchia cchi cani!!! - disse boccheggiando il più vecchio.
Il vecchio era molto vecchio, ottantenne. Il più giovane non era così giovane, forse mio coetaneo.
Putimmu scinniri, ah? - chiese con fare retorico il vecchio.
Si c'è mutivu... avissi cchi ffari -dissi io
Scusassi si purtammu disturbu ma vinnìmu a vidìri u putru - disse il vecchio quand'era già sceso senza aspettare una mia conferma.
l'orario nun è adattu, u putru c'è sempri anchi stasira - dissi io impotente perchè i due intrusi stavano già camminando verso Bibì, precedendomi.
Il vecchio era curvo e con un bastone per sorreggersi, interruppe la camminata non autorizzata e guardandomi con un sorriso che era un ghigno, mi disse:
mi canusciti? sugnu don Vicè Sollìma, dittu u mahàru.
Nella pausa che fece ad arte, attendeva di scorgere la mia meraviglia, chè mi sentissi lusingato per quella visita inaspettata ed importante.
Nun l'haiu mai sintutu mintuari, veramenti nun la canusciu -diss'io.
To patri mi canusci... nna mu vistu a lu cafè e ci lu dissi ca vinìa a talìari lu putru -replicò il vecchio alzando leggermente la voce per ribadire, casomai, che aveva già chiesto il permesso. Poi, con falsa gentilezza malandrina e paesana, rettificò:
scusassi ppi l'ura ma simmu ccà ppi cosi buni, ppi accattari lu putru... lu paiu bunu.
Si zittì per riprendere fiato quindi riprese:
ci l'avi na birricedda ca parlammu migliu, cumu amici ca na fari na ffari?
Nun ci nn'è! Mancu acqua c'è! Mancu affari amma ffari -dissi con quella stessa gentilezza che conoscevo anch'io.
Intanto erano già entrati nel recinto e il vecchio palpeggiava Bibì. C'erano arrivati senza che io gli avessi indicato la strada come se sapessero dove andare. La mia scarsa ospitalità e nulla affabilità non aveva minimamente inibito la loro invadenza, non si erano manco fatti sfiorare. Eppure passo per un tipo aggressivo ed indisponente, non per u Mahàru evidentemente.
Bibì dapprima curioso come fa sempre con tutti era subito sfuggito dalle mani grosse e arrappate del vecchio e al galoppo aveva raggiunto madre e sorellastra Luna che stavano guardinghe in un angolo con le orecchie nella posizione della perplessità. Il vecchio intanto si era seduto alla base di un pilastro e il giovane gli stava accanto come il bastone che sorregge un albero storto e quasi secco. Parlava solo il vecchio che non era una voce qualunque perchè non era un vecchio qualunque, era don Vicè Sollìma, u Mahàru!
E allura? -dissi io scocciato ed apertamente ostile ormai a quell'invadenza. Il mio era un invito esplicito ad andarsene. Ero nello sguardo aggressivo ed indisponente. Almeno ci ho provato, ma niente U Mahàru non vacillava. Anzi, con quella solita gentilezza riprese dal mio invito ad uscire:
allura... sugnu ccà ppi accattarimi u putru, no ppi arrubarilu! ... ... cumu si chiama stu sciccariddu?
Non volevo rispondere e per un pò rimasi in silenzio come loro. Poi, non volendo dire il nome di Bibì, dissi:
ancora senza nnomi è!
Migliu accussì! disse u Maharu come soddisfatto che il nome l'avrebbe potuto dare lui battenzandolo.
Stu iurnu è lu dicinnovi austu e stu sciccariddu fa dui misi propriu nni stu iurnu, giustu? -chiese il vecchio, avviandosi con prepotenza in una conversazione che non avevo chiesto. Senza aspettare che rispondessi, aggiunse:
stu sciccareddu nnascì u dicinnovi giugnu ... quannu nnascì u Mahàru nni l'annu millinovecentuventinovi…
Ah, che coincidenza! Vuoi vedere che adesso mi dice che lui e Bibì sono dello stesso segno zodiacale? quasi ridevo a pensarci.
Anche il vecchio mi sembrava ridesse ma era un ghigno che nascondeva qualcosa di diabolico. Testeggiava come a confermare tra sé e sé: chissà quale segno del destino per quella concomitanza.
Ciò che mi venne spontaneo da dire fu invece una domanda:
cumu lu sapiti ca stu sciccareddu nascì stu iurnu?
Il vecchio, sorpreso per la domanda ovvia, rispose che l’aveva saputo da mio padre a lu cafè.
Effettivamente, alla prima occasione che rividi mio padre, gli chiesi conferma e lui confermò. Gli feci una sfilza di domande per capire come erano andate le cose e pare che accadde tutto casualmente come accade nei bar di tutti i paesi. U maharu, sapendo che era nato un puledro, chiese a mio padre quand’era nato e mio padre disse quella data.
E cchi fici quannu cci lu dicisti?
Si stava arrizzulannu di la seggia unn’ era assittatu, quannu lu ntisi. –mi riferì mio padre ridendo.
Intanto il vecchio e i suoi “due bastoni” con fare aggressivo da domatori stolti e avventati si erano avviati verso l’angolo del recinto dove stava Bibì e le altre che con mia enorme sorpresa, avevano immediatamente modificato la posizione delle orecchie, passando da quella della perplessità a quella che gliele fa abbassare all’indietro e all’istante portare in avanti la testa, segno inequivocabile di quando intendono caricare. Lucia l’ho vista pronta a lanciarsi, quanto prima, in uno di quei morsi dal peso che potrebbe avere un cobra di 5 q.li; Luna si era già voltata col treno posteriore pronta a sferrare, da lì a poco, una delle sue sforbiciate che per un essere umano ben messo con il fisico, possono risultare davvero letali, figuriamoci per un pero cotto come Don Vicè. E la cosa ancora più incredibile: Bibì si era staccato dal gruppo e correndo era passato lateralmente ai due figuri ad assestare un colpo al volo che riusciva a colpire in pieno l’anca del più giovane invasore. Avevo già visto Bibì fare quella cosa, verso i suoi simili e me, quando prendeva a correre ma lo aveva sempre fatto per eccesso di vitalità, per provarsi e quindi per gioco, mai come atto di guerra.
Poco prima che succedesse un massacro che ci poteva anche stare ma che forse ancora era troppo presto perché io lo avallassi, riusii a bloccare le due asine adulte. Con la voce le intimai pronunziando un secco No. Feci perdere loro lo slancio di istintiva aggressività che attiene alle specie predate con tipica agilità equiforme . Si erano quindi riposizionate in un angolo, disponendosi a proteggere il piccolo, che dopo una corsa era ritornato dalle grandi, secondo me, fiero del colpo portato a segno. I tre asini guardavano nuovamente perplessi quei due predatori sconsiderati e Bibì come un piccolo lottatore che poco ancora sa della guerra quotidiana che ogni essere predato è costretto ad affrontare, fece un raglio giovane ma deciso il cui significato era inequivocabile: - cu minchia sunu chisti, mà? Rispose con un raglio lungo e assai energico, non sua madre ma sua sorellastra Luna, giovane puledrona: -dui strunzi ca si avvicinanu, li cancìu cumu sceccu cumanna… nun tappreuccupari, Bì! L’unica che non disse nulla fu proprio Lucia, sua madre., Lei non raglia mai ma come un cobra suole fissare immobile il punto preciso dove scagliarsi in assalti di eccezionale rapidità e potenza formidabile.
Minchia! – ho esclamato tra me e me
Minchiaaaa! –gridò il vecchio, bianco nel volto, guardando il giovane che si toccava l’anca dolorante, che, senza dire nulla, fissava me con espressione torva.
Don Vicè, mancu a li scecchi piaci sta cumpagnia! –mi sentii di dire con una certa soddisfazione.
Don Vicè come se avesse accusato il colpo si andò a risedere dov’era prima con accanto il suo bastone dolorante, sempre muto come un guardiaspalle idiota ma pronto ad eseguire gli ordini. Da quel momento ci siamo fissati in silenzio, io: loro. Loro: me. Gli asini ancora perplessi e guardinghi ; i cani gli unici a rumoreggiare, fermi e col pelo ritto. Mezzogiorno di fuoco! Uno psico-duello al sole.
Stu putru adda esseri miu non ci sunu santi ca teninu! –improvvisamente la voce di lu Maharu si fece davvero grave, forte e predisposta per suscitare una certa spaventosità. Non era nemmeno mitigata di quella “gentilezza” che almeno rispetta le forme. Si frugò nelle tasche posteriori ed uscì un portafoglio gonfio che aprì, tirò fuori due biglietti viola di 500 € cadauno che mise in bella vista mostrandomeli come se io, a quel punto, non potessi che sbavare, consegnandogli Bibì, come Giuda con Kristo.
Chisti sunu sulu la mità, l’autri: lu 19 di sittimbru, a li tri misi di lu putru. –e consegnando i due biglietti al suo picciotto lo invitò a portarmeli.
Nonostante la mia profonda agitazione riuscii ad alzare la voce e a simulare una certa fermezza, intimando il giovane accompagatore di lu Maharu a starsene fermo lì dov’era, dicendo che niente e nessuno c’era in vendita per loro. I cani stavano quasi per scattare ed ho dovuto alzare la voce ancora più forte per fermarli. A questo punto ero davvero nervoso e tutto attorno era carico di elettricità.
Quel figuro comparso improvvisamente come un fulmine in ciel sereno, mi offriva 2000 € per un puledro di asino nemmeno svezzato. Perché?
Considerando che un puledro svezzato a quattro o sei mesi ( per me ancora oltre) ha un valore d mercato di 400-500 € ma solo se iscritto al libro genealogico della razza e che può essere (superati i due anni), approvato come stallone solamente se possiede genealogia e caratteri morfo-genetici eloquenti. Unicamente in queste condizioni, può raggiungere un valore di mercato intorno o superiori ai 2000 €. Considerando che Bibì non ha genealogia perché soltanto la madre è iscritta al libro genealogico della razza mentre il padre, pur essendo uno stallone di pregio, non ha “carte” e non è uno stallone provato, perciò è praticamente impossibile che diventi stallone il figlio. Questi può essere in futuro soltanto castrone oppure riproduttore ma “clandestino” come suo padre, con un valore da adulto di 1000 € al massimo. Considerando che Bibì in queste condizioni non potrà mai raggiungere valori di mercato stratosferici, tantomeno da puledro può valere quella cifra, l’offerta di lu Maharu risultava spropositata e a dir poco sospetta.
Chiddu ca vi vogliu dari ppi lu putru è na cosa magna ca nuddu ni stu munnu vi po’ cchiù ddari. Quantu vuliti ca vi lu dugnu… tè, ci nni mettu autri milli! E d’anticipu vi nni dugnu milliecincucentu!
E aggiunse ai due biglietti da cinquecento, cinque di cento.
La cosa si faceva sempre più sconcertante.
Ho chiesto, riportando un’apparente calma, come mai era disposto a pagare così tanto.
Pirchì lu putru nnascì u me stessu iurnu! –rispose secco il vecchio
Gli dissi che non ci credevo e che non poteva essere così
Allora il vecchio si frugò nell’altra tasca ed uscì fuori la carta d’identità e claudicante, appoggiato al suo bastone vero e di legno, me la avvicinò mettendomela sotto il naso. C’era scritto: “nato il 19 giugno 1929”.
E vabbè cchi vò ddiri? Nun ci crìu lu stessu. Nun po’ esseri ppi chissu. Pirchì don Vicè lu vuliti?
Se ne tornò a sedersi di nuovo sulla base del pilastro e sbuffando come per liberarsi di un peso o perché ormai era deciso a svelare il vero motivo, disse:
…e vabbè, vi lu dicu ma lu putru adda esseri mia lu stessu… mi servi pirchì agghia ffari na maharia!
Certo, u Maharu fa le Maharie anche ad ottantanni ma che c’entra Bibì?
Cchi c’entra lu putru ccu la maharia? Don Vicè, si vuliti u putru lu vogghiu sapiri cchi cci vuliti fari. –non stavo cedendo ma in un duello occorre anche bluffare, volevo che si esponesse e rivelasse le sue vere intenzioni. A questo punto mi toccava andare fino in fondo.
U Maharu riprese a sudare come prima dentro la macchina, mi puntò con occhi che mi disarmavano, che mi costringevano ad abbassare i miei ma mi proposi di non farlo e lo guardai fisso anch’io. Era un duello senza scampo. Senza abbassare i suoi occhi infuocati sui miei cambiò istantaneamente umore e scoppiò in una risata che contagiò soltanto il suo guardiaspalla, io rimasi serio in attesa che smettesse:
ah, ah ah… accuminciammu a capirini, avvicinativi e assittativi ca doppu st’affari nun vi trasinu sulu sordi ma cosi cchiu bbeddi e mportanti…. L’amicizia mia!
Gli feci capire che ero disposto a sedermi nel sedile di cemento accanto a dov’era lui ma prima il suo picciotto si doveva allontanare almeno di qualche metro.
Don Vicè con fare brusco disse al giovane: attì assettiti ddà! –indicandogli col bastone di legno, un terzo sedile di cemento poco più in là.
Con fare calmo, amichevole e riconciliante, iniziò quindi un discorso da deliro puro che ancora adesso stento a credere che possa averlo veramente sentito.
La maharia è na cosa mportanti e vera, si fanu cosi ca la menti nun po’ capiri ma succedunu e arrinescinu. Si po’ addivintari ricchi e chista è na cosa ca a tutti fa allippari; si po’ addivintari ntisi e putenti e chista è na cosa ca minti li cugghiuna a cuegghiè; si po’ fari nnamurari fimmini ca si neano o rumpiri l’ amuri cchiù fermi di l’autri e chista è na cosa ca porta piacìri; si po’ acchiappari la saluti e campari assai e chista è la cosa ca chhiù cunta. Ma la maharia si paa, c’è sempri quarcosa di scunvinienti, c’è sempri un sacrificiu a fari…
lu tò putru mi servi pirchì mi l’haiu mmangiari, sanu sanu…
Disse che comprava Bibì perché deve mangiarlo per una maharia! Ho sentito bene che ha detto così ma ho voluto chiederlo casomai avessi capito male…
Sii,siii, è accussì! Stu putru nnascì ppi mia, è assai che l’aspettu.
Ciò che lu Maharu mi offriva per Bibì era una cifra spropositata ma per mangiarlo ”sanu-sanu” non c’erano cifre, non un valore in denaro accettabile. Come potevo intascare 3000 € o anche più, se avessi negoziato, consegnando un essere bambino (seppur asino) appena affacciato alla vita? Come potevo mettere sotto i denti cariati di un cannibale, colui che ad ogni mattino saluto con un bacio sul muso e vado a ribaciare tutte le volte che le asperità della vita minacciano la mia stabilità? Come potevo cancellare lo sguardo dei suoi occhi di purezza che mi avvicinano, non a Dio, ma al vero senso delle cose, al bello, all’assoluto, al sublime che l’esistenza umana ancora serba?
Non ero combattuto sul disfarmene di Bibì arraffando una mangiata di quattrini. Il pensiero non mi sfiorava nemmeno, nessuna tentazione benché anche gli spiccioli in questo momento farebbero comodo. Non ci sono esigenze materiali che possono essere appagati se l’atto da commettere è la barbarie e l’infamia. Ciò che mi teneva insicuro era invece se quella bizzarra turpe coppia, sbucata dal profondo oscuro passato, avrei dovuto cacciarla con “gentilezza” malandrina e paesana oppure farla dilaniare dai cani. Ero sinceramente indeciso.
Per fortuna un malore improvviso venne in mio soccorso risolvendo l’empasse. Mi sono sentito di colpo venire meno come un calo di pressione repentino, inusuale per me, anzi talvolta manifesto parvenze di patologie opposte, essendo un futuro probabile iperteso. Come un collasso, l’adrenalina si è acquietata e la mente ha smesso di scalpitare. Mi sentivo male e prossimo allo svenimento ma in quella circostanza lo stato di disagio fisico mi tornava utile e, credo, di essere riuscito a trasformarlo in stato di grazia, una specie di nirvana se si vuole. In una tale condizione psico-fisica gli effetti scaturiti dal mio moto comunicativo sono diventati … “magia”.
Mi sono rivolto a lu Maharu con voce bassa, flebile, sofferta, difficile da sentire per le sue orecchie intasate di cerume. Ho avuto l’impressione che la mia voce assomigliasse a quella del doppiatore di Marlon Brando ne il Padrino1. Alle mie prime parole il vecchio disse: cchì? Nun ci sentu…
Gli feci segno con il dito di avvicinarsi un po’ e lui si accostò con la testa ad una diecina di centimetri dalla mia alzando il culo dal sedile e sporgendosi con una inclinazione vicina ai novanta gradi. In quel momento e in quella posizione, nonostante il collasso incipiente, ho avuto la tentazione di fargli una pernacchia. Invece, più sobrio, gli ho detto che volevo sapere di quella maharìa e che mi interessava conoscere l’utilità del sacrificio del mio “putru”.
Dando per scontato che a nessun prezzo avrebbe ottenuto Bibì, mi proposi almeno di approfittare della situazione per entrare in un mondo negletto e sotterraneo che ancora esiste e che impunemente fa scempio di cose ed esseri senza colpa, spesso sprecati, devastati, violentati ed oltraggiati per una perversa presunta conoscenza di segreti che spesso muovono semplicemente le ordinarie dinamiche della natura. Per me era come voler entrare e guardare in un tunnel culturale dove eredità storiche, mescolate alla miseria umana e all’ignoranza faceva ancora da trait d’union con gli orientamenti dominanti basati ancora sull’egoismo, la superstizione, la prepotenza e tutti i moloc antichi e moderni.Riuscire a vedere un tratto del “luogo” dove tutto ciò nasce ed ancora esiste e morire subito dopo per collasso, tuttosommato, avrebbe avuto ancora un senso.
U Maharu da vicino ebbe a vedere il mio volto semplicemente stanco per il malore ma che poteva facilmente essere scambiato per la maschera di uno stregone entrato in trans e fornito di un qualche potere che lui non conosceva. L’ho pensato perché lo sorpresi in una espressione di sussulto come se avesse preso la scossa, infatti rapidamente si allontanò e riprese la posizione da seduto. I miei occhi li sentivo chiudersi per la stanchezza e mi sembravano chiusi anche se continuavo a vederci. Mi sembrava di avere le palpebre girate come se si vedesse un poco di bianco. Il vecchio ero sicuro che mi vedesse cambiato come se un qualche potere si fosse impossessato di me, in aggiunta alla voce. Avevo la certezza che adesso mi temesse.
Lo invitai con un gesto della mano a dire e ciò che disse fu veramente ripugnante. Lo ripeto con le mie parole e faccio una sintesi.
La maharìa consisteva nel sacrificio di un puledro di asino, maschio, non più grande di tre mesi che fosse nato lo stesso giorno del ricevente la maharìa stessa. Quindi l’atto “magico” era del tutto personale. L’ intento avrebbe dovuto risolvere un suo problema di … vi-ri-li-tà. Proprio così.
Erano tante le maleparole che gli avrei voluto dire ma non ero nella condizione, al massimo potevo disporre di poche frasi brevi con la voce del padrino. Ciò che con sforzo riuscivo a proferire me lo riservavo per le domande. Disse che quella pratica era una sua specialità, molte volte l’aveva esercitata su altri con successo ma adesso, ahimè, era toccato a lui che aveva, si gli “strumenti del mestiere”, ma la mia ostilità rischiava di compromettere il prodigio che ormai era avviato ma a metà…
In tutta quella follia c’era qualcosa di grossolano che saltava agli occhi: la coincidenza delle due date di nascita, l’evento sincrono era qualcosa nel calcolo delle probabilità che, compiendosi, sarebbe stato come fare un sei al superenalotto. Lui l’aveva realizzato innumerevoli volte verso altri e adesso per se stesso c’era un puledro pronto con quei requisiti. Se consideriamo anche la popolazione asinina attuale in Sicilia, le fattrici gravide e la percentuale delle gravidenze portate a termine e i nati maschi, le probabilità che nasca in quel preciso giorno, l’ ”eletto”, a mio parere, è ancora più bassa di una vincita al lotto. In due parole manifestai allo stregone il mio scetticismo.
Il vecchio ebbe un sobbalzo d’ orgoglio e stava per rivelarmi uno degli arcani centrali di quella maharìa, ma si stoppò in tempo. Ormai però, una pulce si era insinuata nel mio orecchio. Quando tutto fu finito infatti chiesi a mio padre se u Maharu aveva fatto altre visite. Rispose prima di no, poi disse: ah, si si vinni na vota ca tu nun c’eri. E cchi fici? Vosi talìari Lucia. E cchi fici? Mah, aviva mmanu un nerbu, tantu ca iu ci dissi chi vulia fari e iddu m’arrispunnìu ca ssu nerbu era l’occhiu di lu Signuri e la manu di l’Angilu ppa ccumpagnari la scecca prena a sgravari giusta e beni. E cchi fici a Lucia? La tuccà ccu lu nerbu nni la panza cumu si l’accarizzassi… e cantava na canzuna ca un si capiva nenti e diciva paroli stranieri…
Ecco! Questa è stata la sua prima parte della maharìa, per questo il prodigio era a metà…
Non ho potuto fare a meno di collegare questi fatti con ciò che accadde a Lucia prima che partorisse. Il parto intanto avvenne, contrariamente ai miei calcoli, con un ritardo di venti giorni almeno. Era pur vero che un’asina sa prendere tempo e superare i 12 mesi canonici raggiungendo anche i 13 senza difficoltà. Lucia però, negli ultimi 10 giorni fece tribolare un po’ tutti, non riuscendo a reggersi sulle quattro gambe e per tutto quel periodo non fece altro che ansimare e stare in decubito. Secondo l’informazione che mi riferì mio padre, ciò accadde proprio subito dopo che il “Signore” ci mise addosso il suo occhio e l’ “ Angelo” le posò sopra la sua mano.
Intanto il 19 giugno nacque Bibì e adesso è bello, sano, forte e più grande per la sua età. Basta guardare la mole di sua madre e suo padre per spiegarselo, non occorre altro.
Don Vicè è forse un vero Maharo di quelli anche potenti e temuti come ce n’erano una volta ma non può avere il mio rispetto né la mia tolleranza. Lui no! Altri, ben altri mahari ho avuto modo di conoscere, tutt’altra pasta. Ad alcuni ci sono molto affezionato perché portatori di conoscenze antiche che spiegano, senza fare scienza, di come alcuni fenomeni naturali possono essere compresi e controllati con le facoltà reali ma nascoste della mente. Essi sono stati conoscitori di erbe, preparati e filtri “magici” senza adoperare suggestioni paranormali che nulla hanno a che vedere con la maharìa di Don Vicè.
Non volendo ulteriormente dilungarmi sul resoconto di questo fatto a dir poco, grottesco, accaduto appena qualche giorno fa, passo al finale e a come ho licenziato Don Vicè.
Dopo uno scambio di opinioni sulla virilità sua e più in generale che ometto. Certo, non per comune senso del pudore, ma perché una ciolla morta dopo ottantanni non merita attenzione degna di nota, gli ho detto, come fossi Don Vito Corleone: che potevano andarsene ed uscire dal ranch, senza lu putru e con i danari. Ho chiamato a me i cani trattenendoli e i due visitatori si sono avviati spediti verso la macchina. Don Vicè, maharo ottantenne con la pinna moscia, girandosi però riuscì a dire: ni vidimmu a la misata, veru?
Ed io, col collasso trattenuto e ancora senza la mia vera voce, gli volli fare quel gesto che qualche tempo fa si usava nelle piazze infuocate: il segno della marca e del calibro di una rivoltella puntata. Se è vero che in certi casi le simbologie raggiungono l’obiettivo, penso che questa l’abbia fatto.
Morale della favola (ogni favola ha la sua morale)
Ci sono gesti che per farli non occorre essere eroi, forti o coraggiosi. Io non lo sono e non mi ci sento. Ci sono gesti che, a pensarci bene, dovrebbero uscire fuori come uno sbadiglio o un rutto, basta non trattenerli. Basta ascoltarsi dentro e sentire l’appartenenza del proprio sangue, ciò che si è autenticamente senza la cianfrusaglia mentale creata nei secoli dalle società sbagliate degli uomini.
Questo è ciò che può accadere, per alcuni magari è l’occasione fortunata irripetibile; per altri e per me non è neppure una tentazione ma un forte monito ribadito con asprezza che mi invita a guardare sempre quel poco di autentico e vero che esiste veramente e per cui vale la pena di vivere. È facile essere “eroi” e “giusti”, basta percorrere la strada del cuore perché quella è sempre la prima che incontriamo.
Facciamo caso che esista veramente un losco figuro, iniquo, prepotente, traviato e pervertito. Non è difficile immaginarselo. Andiamo più in là con la fantasia ed immaginiamo che costui faccia una vincita stramilionaria e che per puro capriccio oppure perché, invaghitosi di qualcosa o qualcuno che ci appartiene, ci offra ( per ucciderla, mangiarsela o distruggerla semplicemente) una cifra, diciamo importante. Non tremila…cinquemila ma di più, magari, ipotizziamo, centomila. Come ci comportiamo?... se affrontassimo la questione come a voler fare una scelta, a pesare le due alternative, avremmo già deciso per quella “immorale”, perché i nostri occhi si sarebbero posati sull’altra strada distogliendoli da quella del cuore che è sempre la prima e, anche se per un attimo, l’avremmo tradita, non riconoscendola. Se invece, come dovrebbe essere sempre e per tutti, non riconosciamo altro che la strada del cuore tutto il resto diventa baratro dell’esistenza. Per questo non ci vuole niente a scegliere le cose giuste!
Non è soltanto per un asino-bambino da sacrificare, se ci pensiamo può succedere e succede per tutto. Un terreno agricolo, un bosco, un fiume, un lago, una montagna da rivoltare, bruciare, inquinare, sventrare possono essere TRADITI per costruire un villaggio turistico, un’autostrada, una città, una centrale nucleare, un termovalorizzatore. E tutto questo per cosa? Sempre per quattro luridi, sporchi, schifosi danari!
Note su alcuni termini dialettali usati:
-maharìa= stregoneria, magia che può essere nera ma anche limpida e attuatrice dei poteri buoni della mente e della natura
-maharo= colui che pratica la maharìa. In genere nei villaggi e nei paesi era un erborista, profondo conoscitore delle piante e del loro uso e applicazioni, tanto che gli effetti sulla salute erano così portentosi da essere considerato un vero e proprio uomo-medicina. Ci sono mahari più oscuri che sfruttando le loro conoscenze e poteri riuscivano a manipolare le azioni e la vita dei loro referenti e a realizzare atti crudeli e distruttivi.
-putru= puledro, il piccolo nato dall’asina ma anche cavalla
-nerbu= si tratta di una frusta molto robusta, flessibile e maneggevole, lunga oltre un metro realizzata con la verga del toro trattata con sale, intrecciata e tenuta sospesa ad un soffitto mentre all’altra estremità viene aggangiato un peso che mantiene la giusta rigidità e flessibilità.
-ciolla= quella che a lu Maharu serve solo per pisciare
-pinna= idem
Gi.Ru
Note e traduzione
Possiamo uscire?
Se c’è un motivo valido… avrei da fare
Ci scusi se disturbiamo ma siamo venuti a guardare il puledro
Il momento non è pertinente, il puledro c’e anche stasera, semmai
Mi conoscete? Sono don Vincenzo… detto u maharu
Mai sentito nominare, non la conosco
Tuo padre mi conosce… ci siamo incontrati al bar e l’ho avvertito che venivo a vedere il puledro
Ci scusi per l’orario ma siamo venuti per cose buone, per comprare il puledro… lo pago bene
Ci sarebbe una birretta così parliamo meglio, come amici che vogliono fare un affare?
Non ce n’è! Neanche acqua c’è! Nemmeno affari ci sono da fare.
Intanto… sono venuto per comprarmi il puledro, non per rubarlo… come si chiama quest’asinello?
Ancora senza nome è!
Meglio così!
Oggi è il 19 agosto e questo asinello compie due mesi proprio in questo giorno, non è così?
Quest’asinello è nato il 19 giugno, quando è nato il Maharu, nell’anno 1929.
Come fate a saperlo il giorno in cui è nato l’asinello?
E che fece quando glie l’hai detto?
Appena l’ha sentito stava per cadere dalla sedia su cui era seduto…
Don Vincenzo, neppure gli asini gradiscono la vostra compagnia!
Questo puledro sarà mio, senza santi che tengano!
Questi sono soltanto la metà, il resto il 19 settembre quando il puledro compie tre mesi.
Ciò che vi sto offrendo per il puledro è qualcosa di enorme che nessuno vi offrirà più.
Ditemi quanto volete che ve lo do…dai, glie ne aggiungo altri mille! Così ve ne anticipo 1500!
Perché il puledro è nato nel mio stesso giorno.
E vabbè che vuol dire? Non ci credo comunque.
Non può essere questa la ragione. Perché don Vincè lo volete?
…vabbene, ve lo dico ma il puledro sarà mio lo stesso…mi serve perché devo compiere una maharia
…che c’entra il puledro con la maharia? Don Vincè se lo volete, voglio sapere cosa ci farete con il mio puledro.
Ah ah iniziamo a capirci, avvicinatevi e sedetevi che dopo questo affare non intascherete solamente soldi ma cose più belle ed importanti, la mia amicizia
…hei tu, siediti là!
La maharia è qualcosa di importante e vera, si possono fare cose che la mente non può comprendere ma succedono e si realizzano.
Permette di diventare ricchi e questa è una cosa che tutti desiderano , si può diventare rispettati e potenti e questa è una cosa che mette i coglioni a chiunque; si può conquistare donne che si negano o distruggere gli amori più forti degli altri e questa è una cosa che può portare piacere; si può conquistare la salute e vivere a lungo e questa è la cosa che più di tutto conta. Ma la maharia si paga, in essa c’è sempre qualcosa di sconveniente, richiede sempre un sacrifico…
Il tuo puledro mi serve perché me lo devo mangiare tutto per intero…
Si si è così! Il puledro è nato per me, è da molto tempo che lo aspetto
Ah, si si è venuto una volta che tu non c’eri.
E cosa fece? Volle guardare Lucia. E cosa le fece? Mah, aveva ina mano una frusta, tanto che io gli chiesi che intenzioni avesse e lui mi rispose che quella frusta era l’occhio del Signore e la mano dell’angelo che avrebbero accompagnato l’asina gravida a partorire nel modo giusto e bene. E che fece a Lucia? La toccò con la frusta nella pancia come se l’accarezzasse… cantando una canzone di cui non si capiva niente e diceva parole incomprensibili…
Ci rivediamo fra un mese, d’accordo?
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